a cura di Elisa Rumiel Riflettere sulle tematiche del consumo di sostanze in adolescenza è sempre molto delicato perché pone di fronte a dei conflitti interni, un intreccio di questioni sulle quali è importante chiedersi a che prospettiva guardare. IntroduzioneIl termine Adolescenza deriva da adolesco = crescere; proviamo intanto ad immaginare l’adolescenza come una tappa evolutiva da attraversare e non come malattia come sempre più spesso viene descritta. Cosa devono fare i nostri ragazzi per diventare grandi? Quali sono le tappe evolutive necessarie per transitare dall’infanzia all’età adulta? Quali sono le possibili difficoltà? Quali sono le caratteristiche dell’adolescente di oggi? Il consumo di sostanze, a volte possibile come sperimentazione, può diventare rischioso perché se prolungato può bloccare proprio quei processi evolutivi che il ragazzo sta affrontando. Come cercare di porre uno sguardo allargato e che tenga conto della complessità di queste tematiche? Iniziamo provando a conoscere meglio chi sono gli adolescenti di oggi e in che contesto sono immersi. Il futuro visto fino a qualche decennio fa come promessa viene ora delineato da gran parte degli adulti come minaccioso, le relazioni sono sempre più permeate da un individualismo che lascia poco spazio alla costruzione di RELAZIONI autentiche ma ad una frenesia consumistica fatta di relazioni oscillanti, incerte, fluide, con pochi confini di riferimento, tutto pare dissolversi in uno stato di liquidità in cui tutto si consuma (come le sostanze). L’apparire è il valore, l’essere popolari, i numeri 1 all’interno di un mondo nel quale è importante bastare a sé stessi per il forte timore di legarsi all’altro. La nostra società non fa percepire la mancanza cioè il DESIDERIO. La mancanza ha lasciato spazio al vuoto riempito da un oggetto dopo l’altro (vestiti, giochi farmaci) in una sorta di bulimia senza scopo. La velocità, il fare, la prestazione sono valori fondanti. I nostri ragazzi che respirano e crescono in questo mondo adulto che compiti devono svolgere per diventare grandi?L’adolescenza è il periodo di ridefinizione e risimbolizzazione del sé in cui l’individuo è chiamato a realizzare compiti specifici: processo di separazione-individuazione, mentalizzazione del sé corporeo, definizione e formazione di nuovi valori di riferimento ed ideali e nascita come soggetto sociale. 1. Separazione-individuazione /differenziazione: i ragazzi in questo periodo evolutivo sono chiamati ad essere sempre più indipendenti dalle figure di riferimento e dalle loro rappresentazioni idealizzate. 2. Mentalizzazione del sé corporeo: necessità di ricostruire mentalmente un’altra immagine di sé da corpo asessuato e onnipotente a condizione di Maschio e Femmina. Il corpo diventa mortale e generativo. Presente un conflitto tra desideri di crescere e paura di rimanere piccoli 3. Definizione e formazione di nuovi valori: Adolescenza definita come NUOVA NASCITA, periodo della creatività soggettiva. Costruzione e perfezionamento di valori di riferimento che guidano l’azione individuale. Nuove esperienze di sintonizzazione emotiva con l’altro (amici, altre famiglie, insegnanti, idoli del cinema, della musica…) 4. Nascita come soggetto sociale: l’adolescente è chiamato ad assumersi la responsabilità di un ruolo socialmente riconosciuto, sia tra i coetanei che nel contesto allargato, per progettare una direzione del suo percorso futuro. La fase adolescenzialeL’adolescente di oggi quindi è passato dall’essere un bambino molto stimolato, incoraggiato come talentuoso, che deve essere competitivo ed emergere ad un adolescente FRAGILE E SPAVALDO: il sé è più importante dell’altro con una forte necessità di approvazione (popolarità e competitività). La profonda paura di deludere il genitore porta spesso i ragazzi a mentire per non far soffrire. L’adolescente sembra permeato da un sentimento di vergogna per non essere abbastanza, non se la prende con il sistema sociale o con l’adulto come un tempo ma con sé stesso, si sente incapace di rispondere alle aspettative, non dominato dal senso di colpa come in passato ma di vergogna (sintomi come l’autolesionismo sono sempre più diffusi). La crisi adolescenziale si caratterizza in quest’ottica come un blocco o una difficoltà in uno di questi compiti evolutivi. Durante la fase adolescenziale è presente un maggiore rischio di sviluppare un problema di dipendenza dalle sostanze per il bisogno da parte dei ragazzi di creare nuovi valori di riferimento, nuove sfide, nuove Relazioni, nuova identità. Due costrutti sono stati particolarmente indagati in questa fascia evolutiva e sono spesso dei predittori di rischio: sensation seeking (spinta al desiderio di esperienza nuove, coinvolgimento in situazioni avventurose, persone con maggiore sensibilità alla noia) e l’impulsivity cioè l’incapacità a ritardare la gratificazione. Contemporaneamente però è vero che l’impulsività potrebbe garantire alcuni vantaggi adattivi, è presente infatti un’asincronia tra il sistema emozionale (parte più profonda ed antica del cervello che attiva la dopamina, rilasciata quando c’è curiosità e piacere) ed il sistema di controllo cognitivo (corteccia prefrontale), motivo per cui gli adolescenti sopravvalutano la ricompensa e sottovalutano i rischi. Le aree deputate quindi al controllo degli impulsi, all’elaborazione dei comportamenti adattivi, alla regolazione delle emozioni, valutazione dei comportamenti e delle decisioni, pianificazione degli obiettivi, inibizione di comportamenti pericolosi associati ad un piacere immediato sono quelle che si sviluppano più tardivamente (intorno ai 20 anni). È come se gli adolescenti avessero una macchina emotiva più potente degli adulti con un impianto frenante più piccolo. L’iperstimolazione della dopamina provoca danni. In questa fase di sviluppo si sta iniziando a formare il pensiero ipotetico deduttivo anche se prevale ancora la tendenza a fermarsi al dato concreto. La dimensione egocentrica porta l’adolescente a vedere solo il proprio punto di vista, la dimensione onnipotente per cui le tante prime volte che si agiscono fanno pensare di avere il controllo di tutto. All’interno del panorama che abbiamo descritto hanno un ruolo fondamentale le emozioni, tanto cercate dai ragazzi e spesso confuse con le sensazioni che a differenza delle prime non possono essere interiorizzate. Le emozioni sono molto difficili da riconoscere, nominare e comunicare soprattutto se non c’è stato un allenamento sin dall’infanzia in questa direzione. Vi è una grande complessità nel differenziare ciò che provano: l’agitazione per un compito viene confusa con l’ansia, la tristezza intrecciata con la preoccupazione e spesso questo crea un sovraccarico emotivo. La confusione nel leggere ciò che provano aumenta se le aspettative anche esterne sono elevate e questo aumenta il sentimento di vergogna per l’esposizione del sé. La tristezza è un’emozione molto presente nell’arco di tutta questa fase evolutiva: abbandono delle sicurezze infantili, motivo per cui le delusioni del gruppo dei pari sono vissute come totalizzanti e laceranti. L’adulto può aiutare a gestire le emozioni impetuose “dando un nome a ciò che sentono”, allenamento che se fanno fin da piccoli può essere utile in questa fase di vita. Il solo dare un nome alle proprie emozioni attiva la parte del cervello deputata al controllo delle emozioni e del corpo: la corteccia prefrontale che aiuita l’individuo ad integrare quell’emozione ed avere uno strumento per riprendere il controllo del sé. Non ci sono emozioni giuste o sbagliate (Gotman, 1997). Ansia, paura, tristezza, rabbia, colpa sono di per sé emozioni protettive, hanno potenzialmente una funzione adattiva. Diventano emozioni negative e rischiose quando non sono pensate e non sono “parlate”, quando non sono mentalizzate, riconosciute, espresse, negoziate. C’è bisogno quindi di un adulto autorevole di fronte che dimostra cosa vuol dire “rimanere connessi e consapevoli nel qui ed ora” anche se si è in preda ad un’emozione molto forte. Se di fronte ad un ragazzo arrabbiato ci si “sregola” più di lui urlando, picchiandolo, buttando per terra il suo cellulare, minacciandolo, dicendo parole che non avreste mai voluto dire, si sregola ulteriormente il suo stato di attivazione emotiva. L’obiettivo dell’intervento educativo è l’esatto contrario: rimettere in contatto il cervello che sente con il cervello che pensa ed elaborare una strategia consapevole per superare quel momento di difficoltà. Ma se tra le sperimentazioni che entrano in campo si presentano le sostanze psicoattive? Le sostanze psicoattive da sempre hanno innumerevoli funzioni: cura del male, degli affanni, delle preoccupazioni in una dimensione intellettivo volitiva spesso guidata da riti o da saggi del gruppo. Possono essere sperimentate in un periodo di “tante prime volte” con diverse funzioni: bisogno di trasgredire, sfuggire a stati emotivi spiacevoli, riempire un vuoto, allontanarsi dai propri sentimenti, migliorare le prestazioni in una prima fase si illusione, difesa dalla tensione, bisogno di popolarità, di distinguersi a qualunque costo. Nella nostra cultura definita dello “sballo totale” il divertimento è confuso con lo stordimento e la perdita di coscienza, in modo indifferenziato all’interno di un gruppo. L’alterazione dello stato di coscienza ricercato dai ragazzi d’oggi spesso è connesso con una mancanza di progettualità futura in una sorta di soddisfacimento immediato del bisogno momentaneo, riempie un vuoto depressivo difficilmente colmabile, anestetizza l’emotività ricercando sensazioni, attiva il sistema di ricompensa. La sostanza viene percepita quindi come un oggetto sostitutivo che può essere presente sempre, disponibile, protettiva nei riguardi delle angosce ma, a differenza delle relazioni, non può essere interiorizzata. Produce sensazioni non emozioni; le sensazioni si controllano, le emozioni no. Per i ragazzi che diventano poi dipendenti infatti diventa quasi indispensabile lo spostamento del controllo sulle sensazioni prodotte dalla sostanza rispetto alle emozioni, spesso ingestibili, senza la presenza illusoriamente rassicurante della sostanza. Inoltre una scarsa autoconsapevolezza porta a ricercare all’esterno una definizione di sé. Differenti sono quindi i significati affettivi connessi all’uso di sostanze, in relazione anche ai tipi di sostanze assunte: bisogno di appartenenza, fatica a gestire la frustrazione, poca tolleranza al dolore, ricerca del piacere immediato, presenza costante, espressione della creatività, timore del fallimento, controllo della rabbia, gestione del conflitto con i genitori. Per queste ragioni l’uso di sostanze o ancor di più lo sviluppo di un abuso o di una dipendenza porta a grandi difficoltà in termini di differenziazione e regolazione delle emozioni. In un periodo di grandi mutamenti come quello di cui ci stiamo occupando, trovare la sostanza come soluzione che poi diventa a sua volta problema complessifica ancora di più la comprensione di quale sia il blocco evolutivo avvenuto nel ragazzo. A cosa risponde e che funzione ha nella sua crescita tale sperimentazione, abuso, dipendenza? Qual è il compito evolutivo su cui si è arenato e sul quale ha trovato difficoltà? Considerazioni finaliUn’ultima considerazione voglio esprimerla nei confronti del concetto di dipendenza cioè un’alterazione del comportamento che da semplice o comune abitudine diventa una ricerca patologica di sostanze o l’attivazione di comportamenti di cui non si riesce più a fare a meno. Nella dipendenza da sostanze psicoattive l’oggetto della dipendenza sono una o più sostanze che agiscono sul sistema nervoso centrale alterandone l’equilibrio psicofisico ma esistono anche altri tipi di dipendenze: essendo i rapporti con le persone sempre più rarefatti, aumentano quelli con le cose. L’oggetto della dipendenza non sono solo
sostanze quindi ma comportamenti o cose: internet, gioco, shopping, sesso, lavoro, cibo, relazioni affettive. Ma la domanda a cui tentare di dare risposta è sempre la stessa: cosa sta cercando mio figlio, questo ragazzo, attraverso questo comportamento? Che cosa mi sta dicendo? Che aspetti di sé sta sperimentando? Lo svuotamento della nostra società rende le persone, soprattutto gli adolescenti, dipendenti dagli oggetti. Legami con partner inumani rassicurano e sono un antidoto all’angoscia (come lo psicofarmaco) ma non riempiono mai abbastanza e possono solo essere cambiati o aumentati quando non riempiono più. I ragazzi hanno quindi bisogno di un Adulto capace di reggere affronti dell’adolescente, la sua ansia, la paura, il fallimento, la frustrazione con coerenza, di stare nella relazione. Potrebbe essere utile affrontare la crisi con vicinanza e curiosità avendo FIDUCIA in ciò che abbiamo creato durante l’infanzia in cui stimolavamo, sollecitavamo e incoraggiavamo i nostri figli: continuiamo a farlo. Gli adolescenti di oggi conoscono molto bene gli aspetti interiori dei propri genitori avendo costruito una relazione di vicinanza molto forte fin dall’infanzia. Pertanto potrebbe essere utile considerare sempre che aspetti di sé il figlio sta sperimentando nel tentativo di differenziare il più possibile le proprie aspettative di genitore da quelle del figlio.
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Elisa RumielPsicologa psicoterapeuta a indirizzo sistemico relazionale integrato, psicoterapia individuale, di coppia e familiare. Esperta in adolescenti e giovani adulti. |