a cura di Lucia Lorenzi IntroduzioneSe guardiamo allo sviluppo delle nostre culture occidentali, le troviamo costellate di ampie manifestazioni di disagio dell’anima che sembrano accompagnare per il loro carattere epidemico, i faticosi processi di trasformazione dell’umanità. Andando alla storia che può riguardarci più da vicino, troviamo verso la fine dell’800 il grande tabù del sesso che sembra trovare nel fenomeno dell’Isteria la sua perfetta traduzione. Isteria, da -usteron-, -utero vagante, con i suoi svenimenti improvvisi, gli opportuni mal di testa, le paralisi più svariate nonché somatizzazioni spesso drammatiche quanto capricciose per il loro andare e venire, rivelava il disagio profondo che accompagnava i cambiamenti nella cultura e nell’organizzazione della vita che non aveva trovato sufficiente adeguamento nei costumi e nella visione del femminile. In un’epoca in cui l’identità personale si costruiva sul binomio permesso/divieto, la forza creativa del femminile chiedeva di essere vista, legittimata e integrata. Così potremo dire che il tema evidenziato nella seconda parte del novecento, riguardi l’incontro con la nostra parte Ombra, nelle diverse forme: la Rabbia, il dolore, la morte; o per citare solo alcune di tali manifestazioni: la depressione, il disturbo alimentare, la crisi di panico. La difficoltà d'incontrare e trasformare la rabbia e il dolore, diviene nella sindrome da attacco di panico più specificatamente, terrore d'incontrare la morte a partire da un certo momento della propria esistenza. Incontrare la morte è sul piano simbolico l’incontro con il LIMITE, o in altre parole l’accettazione della nostra parte impotente e vulnerabile. Più la neghiamo e più questo aspetto della nostra vita rischia d'irrompere con violenza quando meno ce lo aspettiamo. Se nel passato il dramma esistenziale riguardava l’adeguamento alla norma, lentamente il problema si sposta divenendo contraddizione lacerante tra possibilità e impossibilità, tra volontà di potenza e percezione drammatica della propria intima vulnerabilità. Incontrare, trasformare e integrare la possibilità della morte come limite, sembra dunque essere la faticosa opportunità che si cela dietro la sofferenza chiamata “attacco di panico”. Diventare un riferimento per se stessiNella solitudine di una faticosa ricerca della propria identità e della propria natura profonda, tra infiniti destini possibili si compie il dramma di dover diventare punto di riferimento per se stessi. Potremo collocare tale mutamento dalla caduta dei miti di patria, famiglia, ideologie collocabili nel periodo del crollo del muro di Berlino. Ad un certo punto dell’evoluzione collettiva come personale, il diritto di scegliere diviene vertigine della libertà. La domanda essenziale sembra riguardare la ridefinizione dei nostri valori e delle nostre necessità. E’ questa estrema libertà che in certi momenti può essere percepita come estrema solitudine e timore di annientamento. In altre parole il tema del panico riguarda sia un aspetto macrocosmico riferito all’evoluzione del collettivo, sia lo sviluppo della biografia individuale cioè il microcosmo donna e uomo. Cambiamenti che producono una sorta di destabilizzazione profonda che ci lascia in balia di un’estrema vulnerabilità. Può trattarsi della perdita di una persona cara , di un trasloco, di un cambiamento lavorativo, di una separazione. Che ne siamo o meno consapevoli queste situazioni a volte ripetute in un breve periodo di tempo, dis-orientano l’individuo facendolo sentire in balia. L’attacco di panico si manifesta con drammatici vissuti corporei ed emozionali, espressione della perdita repentina della sicurezza esistenziale. Il Vortice del Panico e le TrasformazioniDa un momento all’altro a partire da eventi apparentemente banali si innesca un vortice che travolge, trascinando l’individuo nell’insicurezza, nella paura e nel pessimismo che attende il ripetersi della tragedia. Ma guardiamo più da vicino lo sviluppo di questa problematica. A monte troviamo sempre il perdurare nel tempo di un logorio del corpo o della mente che viene comunemente identificato con il termine di stress. Il movimento che caratterizza questa fase è riconoscibile nella dinamica attacco/fuga. Si và verso qualcosa (fase dell’attacco) e contemporaneamente ci si ritira da essa (fase del ritiro). Può trattarsi di una decisione riguardante la vita affettiva, professionale, esistenziale, Può essere il prolungarsi di un’attività fisica come un pendolarismo forzato per mantenere un lavoro o sostenere la malattia di un congiunto. Di fatto a monte si prepara un terreno che potremo definire di logoramento, di cui spesso la persona non ha consapevolezza.. Poi abbiamo un evento scatenante spesso non traumatico, che tuttavia ha la funzione di catalizzare la crisi riattivando antiche paure stratificate nell’inconscio. I sintomi sono immediati e percepiti con estrema drammaticità: dolore al cuore, senso di oppressione al petto, senso di soffocamento, vertigine, tachicardia, sudorazione, confusione mentale e senso di ottundimento alla testa. Su tutto domina una profonda angoscia caratterizzata dalla paura di morire o di impazzire. Il mondo esterno piuttosto che quello interno risulta minaccioso e rischioso per la sopravvivenza. Da questo momento l’individuo sperimenta un’insicurezza permanente caratterizzata dal timore che l’esperienza si ripeta. Tale vissuto porta a dimensionare drammaticamente le proprie esperienze di vita attraverso quello che viene definita una tendenza all’evitamento di situazioni che possano essere percepite come evocatrici della crisi. In particolare i luoghi chiusi, affollati o troppo aperti vengono evitati. I mezzi pubblici affollati e non governabili, come pure la macchina da guidatori o da trasportati, diviene una fonte di ansia spesso ingestibile. Giunti a questo punto il disturbo di Panico conduce a un bivio lacerante. Da un lato la paura porta al restringimento della visione e alla chiusura impedendo di procedere nella propria evoluzione, mentre dall’altro il suo superamento richiede una revisione profonda della propria vita , per cercare nuove basi sulle quali ripristinare la sicurezza perduta. Il percepirsi fragile, impedisce di contattare e integrare la componente di vulnerabilità presente nella personalità, determinando una necessita di controllo e un ritiro nella dipendenza, che spesso raggiunge aspetti di tirannia verso le figure di riferimento. Nel tema del panico e nella sua possibilità di evoluzione positiva, si riconosce la necessità della differenziazione. Differenziarsi significa fare i conti con aspettative, limiti, potenzialità; significa timore della solitudine, popolata di fantasmi, percezione del caos delle proprie forze ingovernabili, consapevolezza della trappola onnipotenza – impotenza. In ultima analisi, la crisi di panico, la cui insorgenza nella vita degli individui sembra purtroppo sempre più precoce, rivela il senso di solitudine profondo in cui l’essere umano si percepisce e contemporaneamente nell’integrazione di tale vulnerabilità, stimola l’acquisizione di una comprensione più profonda del proprio cammino in cui libertà e responsabilità così come possibilità e limiti possano trovare un intreccio amorevole. ConclusioniProseguendo nel nuovo millennio le sfide si intensificano fino a giungere nell’epoca attuale alla percezione del futuro sospeso, al timore del controllo di massa, all’impotenza e alla paura di fronte a realtà sempre più complesse e indecifrabili. La realtà non è come appare. La verità è merce rara. L’informazione fagocita per la sua velocità. Non abbiamo più il tempo di indignarci per l’ingiustizia poiché nuove ingiustizie giungono a confonderci e a rimuovere quelle appena recepite. Viviamo l’impotenza di fronte alle fake news, agli algoritmi, alle manipolazioni delle informazioni.
Poi arriva la pandemia da Covid 19, il lock down, lo spettro del cambiamento senza possibilità di previsioni. La forbice si allarga tra paranoie e negazioni. Aumentano le crisi di panico per chi non riesce a far fronte al’angoscia del cambiamento. Se prima era sufficiente individuare prospettive per il futuro, ora il futuro è una dimensione sospesa. La capacità di immaginare prospettive non è più praticabile. I cambiamenti sono troppo rapidi e non basta più né l’ottimismo né la flessibilità. A fronte di cambiamenti sempre nuovi e non codificabili serve qualcosa in più della flessibilità. Dobbiamo tarare la nostra bussola interna, riconoscere e rafforzare le nostre convinzioni, fissare la bussola su direzioni che nessuno ci può garantire ma in cui è necessario credere per mantenere la rotta. Credere che comunque vadano le cose, ne sarà valsa la pena.
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