Autrice: Carmen Candido Questa che segue è una riflessione che nasce dalla partecipazione a quattro giornate di lavoro, in altrettanti paesi della montagna friulana, in cui si è sperimentato un nuovo modo di lavorare con le comunità, provando ad immaginare il futuro, loro e dei loro paesi. L’iniziativa si collocava all’interno dei Dolomiti Days, un progetto sostenuto dalla Fondazione Dolomiti che da anni organizza iniziative di vario tipo incentrate sulla realtà e le prospettiva dell’area dolomitica. Quest’anno l’emergenza in corso ha costretto a ripensare completamente l’organizzazione dei Dolomiti Days, generalmente strutturati in convegni e seminari e, grazie ad un’idea della cooperativa Cramars , sono nate le Passeggiate SottoSopra. SottoSopra, un titolo che gioca con il nome dei paesi coinvolti (Forni di Sopra, Forni di Sotto, Tramonti di Sopra e Tramonti di Sotto), ma, soprattutto, riflette e riassume l’obiettivo di questi incontri, il senso di questa breve testimonianza sull’importanza ed il valore del “capovolgimento” nel lavoro di animazione territoriale. In questo caso il lavoro è nato e si realizzato in quattro paesi di montagna ma può essere proposto anche in altre situazioni e ambiti, laddove vi siano gruppi/comunità che avvertono la necessità di sviluppare una progettualità comune come presupposto indispensabile per uscire da situazioni di marginalità e/o stallo, proiettandosi nella costruzione del proprio futuro. Per una comunità, non diversamente che per un individuo, la capacità di immaginare un futuro è importante e tutt’altro che scollegata dall’immagine che essa ha di se e della propria forza. In situazioni e contesti nei quali il presente si compone di molte mancanze, la visione del futuro è compromessa; d’altra parte, il venir meno di una prospettiva futura, di un progetto comune, influenza l’idea stessa di comunità, la rappresentazione che gli individui ne danno. Si innesca una spirale che oggi ritroviamo in molti luoghi definiti marginali, dove per luogo si intende uno spazio fisco, popolato/abitato e caratterizzato dalle relazioni tra ambiente, natura e presenza umana. La marginalità dei luoghi, siano essi periferie urbane o aree rurali/interne, ha ragioni di carattere storico ed economico che qui non si approfondiscono, ma sempre riconducibili ad una lettura “urbanocentrica”, affermatasi dalla rivoluzione industriale in poi. Si è imposta, così, una definizione per sottrazione, che non riconosce il valore e la funzione, importantissima, che queste aree svolgono per i centri attorno ai quali orbitano, rischiando di non renderla riconoscibile neppure a chi in quelle aree vive. L’idea delle passeggiate sottosopra, nasce da queste riflessioni, da un’attenta osservazione e conoscenza del territorio della montagna friulana e dalla volontà di individuare strumenti e metodi di lavoro per e con le comunità, in un’ottica di sviluppo locale per passare da una situazione in cui il futuro si subisce ad una in cui il futuro si agisce. Tutto sta racchiuso nella parola sottosopra, un concetto con cui, in questo 2020, il mondo ha dovuto fare i conti: capovolgimento, ribaltamento di quello che è il modo conosciuto di operare; confusione certo, ma anche possibilità di scorgere ciò che nell’ordine stabilito non è visibile, di scoprire nuove vie, di confrontarsi con qualcosa che eravamo disposti ad accettare solo in un film di fantascienza. Cosí abbiamo provato ad applicare questo capovolgimento ad alcune situazioni marginali, che spesso paiono non avere vie di uscita. Abbiamo messo sottosopra lo spazio ed il tempo, per farlo ci siamo serviti di elementi semplici e presenti in ogni luogo, come lo spazio e l’immaginazione, integrandole con alcuni strumenti presi a prestito dai metodi di futuro. Questi ultimi, che nulla hanno a che vedere con previsioni o preveggenze, sono strumenti sviluppati all’interno degli studi di futuro, nati negli USA, in ambito militare, attorno agli anni 50 e sviluppati allo scopo di costruire ed analizzare i molteplici possibili scenari futuri, approntando poi strategie e risposte utili a realizzare, o evitare, il verificarsi di quanto ipotizzato. A differenza delle previsioni (forecast) che si basano essenzialmente sull’analisi di dati storici per identificare trends e quindi dire ciò che sarà in base a ciò che è stato, gli studi di futuro (foresight e anticipation) contemplano cambiamenti possibili e imprevisti, compongono possibilità, per arrivare a disegnare scenari con i quali potersi confrontare, ai quali prepararsi ed agire per far si che si realizzino, o non si realizzino, determinate situazioni. Il prof. Roberto Poli scrive: “Quello che oggi è impensabile perché è totalmente diverso dalla nostra esperienza e dai nostri quadri mentali, domani sarà realtà. Se vediamo in anticipo quello che potrebbe succedere, possiamo provare a prepararci, sia per diminuirne gli eventuali impatti negativi, sia per poter approfittare delle occasioni che dovessero presentarsi.” Nel caso delle passeggiate SottoSopra abbiamo scelto di fissare alcuni punti fermi attorno ai quali sviluppare gli incontri; sulla base della conoscenza dei luoghi e delle dinamiche in atto, sono state identificate 5 grandi criticità (demografiche, economiche, ambientali, occupazionali e di accessibilità dei servizi) che sono state ribaltate in altrettante sfide vinte, nel 2040. Durante le serate di presentazione, che hanno preceduto le passeggiate, è stato sommariamente illustrato il lavoro che si sarebbe fatto di lì a qualche settimana e, con un balzo in avanti di vent’anni, è stata identificata la sfida vinta: nel 2040 il paese vince il premio in qualità di: paese più attrattivo, paese con i migliori servizi, paese più proattivo, paese con le migliori possibilità occupazionale o paese con la miglior qualità ambientale. Per ragioni collegate all’emergenza in corso è stata richiesto ai partecipanti di iscriversi ma i gruppi si sono costituiti spontaneamente, senza limitazioni o requisiti da soddisfare; vi hanno partecipato abitanti e turisti, curiosi, più e meno giovani, amministratori locali e professionisti vari. Eccoci quindi pronti per la nostra sperimentazione, faccia a faccia ad un 2040 inaspettato e incredibilmente bello; troppo bello per essere vero, come molti hanno fatto notare. Impossibile? Irraggiungibile? Può darsi, ma questo non era un problema dal momento che il gruppo sapeva di aver vinto la sfida e non doveva quindi dimostrare niente a nessuno, se non a stesso! Superato il disorientamento e l’iniziale resistenza, la provocazione e l’azzardo delle sfide proposte hanno fatto emergere la dimensione del gioco, liberando tutti dalla paura di sbagliare e lasciando spazio alle fantasie ed ai desideri. Non poca cosa per disegnare il futuro. Il lavoro si articolava in due momenti: la passeggiata e l’esercizio di futuro, entrambi indispensabili e complementari l’uno all’altro. La passeggiataPer prima cosa il gruppo ha fatto una vera passeggiata per il paese, per vedere quello che c’è, per sentire qualche storia, non importa se vera o inventata, per capire cosa e com’è cambiato negli anni, per attraversarlo assieme. Nelle passeggiate ci hanno, di volta in volta, accompagnato delle guide; non professionisti ma persone che, conoscendo il territorio ed i suoi abitanti, hanno suggerito percorsi significativi in un tempo limitato. Non una guida che ci dicesse cosa guardare perché il gruppo doveva sentirsi libero di vedere e far vedere, di raccontare e ascoltare. Attraversare il paese assieme, con lentezza, è anche attraversare il tempo di quel paese, coglierne le vicende, le trasformazioni, leggerne le dinamiche nel variare delle architetture, nei luoghi abbandonati, nei nuovi centri, creare una connessione tra se, il paese e gli altri. I contributi di tutti sono stati importanti affinché tutti iniziassero a sentirsi parte di un gruppo che di lì a poco si sarebbe misurato con la sfida. C’è chi si è affacciato al balcone per raccontarci la storia del negozio gestito per anni e che da anni è chiuso, chi ci ha aperto le porte della vecchia casa di famiglia che ancora racconta la tragicità della guerra, chi ci ha detto perché se ne è andato via o è arrivato. Camminare per il paese è anche un viaggio tra passato e presente, niente di nostalgico o meglio, un esercizio di nostalgia riflessiva in cui il passato si legge e aiuta a capire cosa può essere portato nella costruzione del futuro. “Per essere contemporanei e prevedere il futuro c’è bisogno di pensare il passato, di riconquistarlo” (Vito Teti - 2020). Oggi, l’avvento della rete, la possibilità, più immaginata che reale, di essere costantemente connessi con tutti, la velocità con cui tutto si consuma e in cui il vecchio deve essere rapidamente sostituito, finisce col dilatare il presente e rischia di ridurre la nostra volontà, la possibilità e la capacità di darci una direzione, una progettualità che necessita del domani. In un presente dilatato, passato e futuro perdono significato: il passato è ciò che esiste ancora nell’oggi, il futuro ha la distanza di una fruibilità immediata: attraversare il tempo del paese significa recuperane il senso, leggerne gli effetti sulla comunità, ordinare e connettere fatti, capire le trasformazioni, comprendere il significato ed il peso della dimensione temporale. Il Taccuino del PatrimonioIn questo viaggio nel tempo e nello spazio, la passeggiata si proponeva, come prima cosa, la raccolta del Taccuino del Patrimonio. Un vero taccuino su cui scrivere ciò che ciascuno scorgeva e identificava come valore, reale e/o potenziale, come patrimonio appunto; ogni partecipante era libero di comporre il bagaglio di beni, materiali e non, che considerava utili per il futuro, gli “strumenti” per affrontare la sfida. La composizione del taccuino, fatto di grandi post-it colorati, aveva un'unica regola: i partecipanti potevano trascrivere solo ciò che consideravano una risorsa, niente annotazioni negative, niente segnalazioni di mancanze, perdite o altro; niente di ciò che spesso diviene una zavorra al cambiamento, all’azione (“manca questo e quindi non si può fare”). Patrimonio è solo quello che c’è e che si riconosce come un valore, solo ciò cui si attribuisce un’utilità, sia nella sua conservazione che nella sua trasformazione. Così, terminata la passeggiata, vedere il muro riempirsi di fogli colorati, leggere il paese nelle sue risorse e ricchezze è stato uno stimolo per tutto il gruppo che, seppur nelle sue differenze, tra tutte quella anagrafica, ha iniziato a lavorare/immaginare assieme. Il gioco, che spinge a pensare “se l’ha trovata lei una risorsa ne aggiungo una anch’io”, si è trasformato in un esercizio collettivo, in cui ogni singolo contributo tesseva il filo che collegava tutti i partecipanti a quel luogo, ad un sapere, a una storia, e contribuiva ad una tessitura che restituisce dignità al territorio attraverso il riconoscimento e la condivisione di ciò che c'è, perché è stato colto e condiviso. I patrimoni raccolti nei quattro paesi sono tra loro diversi ma si assomigliano, ci sono sempre le risorse naturali certo, ma soprattutto c’è la comunità. Anche laddove la partecipazione è stata scarsa e il futuro lo si immaginava fatto solo da pochi vecchi, l’importanza della comunità è stata sempre sottolineata, anche come ragion d’essere delle altre risorse: che senso ha la presenza di un fiume, di un edificio storico, di un sapere se non vi è un gruppo di persone che tale senso riconosce, protegge, sostiene, utilizza, condivide? La comunità Potremmo dedicare molto tempo a cercare di capire e definire quello che si intende oggi e qui per comunità, un concetto che contiene in se l’idea di similitudine (un insieme di soggetti con qualcosa in comune) e di differenza (ciò che distingue i soggetti della comunità dagli altri). Se un tempo la comunità era identificata dal suo carattere distintivo (diverso da), dalle sue dimensioni contenute, dalla sua omogeneità interna e dall’essere autosufficiente, i processi storici ne hanno completamente mutato le caratteristiche, ovunque. Oggi la dimensione territoriale ed il concetto di confine, che separa e delimita ciò che sta dentro da ciò che è fuori, parrebbe superata dalla globalizzazione, ma a ben guardare rischia di essere sostituita dal tema dell’identità che nulla ha a che vedere con la comunità. Ciò che consente l’esistenza di una comunità non è l’identità, la presenza di elementi uguali, ma la capacità, di elementi diversi, di interagire, comunicare, partecipare e agire assieme in vista di uno scopo comune. La varietà e le differenze rappresentano una grande ricchezza per una comunità e, durante tutti gli incontri, è stata più volte sottolineata la necessità di essere aperti verso l’esterno, accogliendo persone e idee nella costruzione del paese futuro. Il valore aggiunto apportato da contributi diversi è stato sperimentato direttamente, grazie all’eterogeneità dei gruppi e nella sintesi delle conflittualità che si sono manifestate. Nell’idea di comunità è emerso come centrale il tema della vicinanza, di uno spazio condiviso che è, esso stesso, parte del sistema comunità: è l’idea di una prossimità, delle persone e dei servizi, che va riaffermata come diritto da costruire usando ciò che il presente mette a disposizione, anche dal punto di vista tecnologico. Nella limitatezza del tempo a disposizione, circa 5 ore, con età, esperienze e competenze diversissime, senza un’idea precisa di quello che avrebbero fatto, i partecipanti si sono posti da subito come piccole comunità, e da subito, incredibilmente, hanno collettivamente immaginato il futuro del paese e definito i passaggi necessari a dargli vita. E’ certamente questa una delle lezioni più importanti delle passeggiate. L’esercizio di backcastingForti di una sfida vinta tra vent’anni e di un patrimonio comune, i partecipanti hanno disegnato il paese del futuro, hanno riempito di contenuti la loro vittoria, descrivendo nel dettaglio cosa significasse in termini molto concreti essere il paese più attrattivo, o con i miglior servizi, ecc. Una volta dipinto il quadro del paese del 2040 i gruppi si sono cimentati in un esercizio, mutuato dai metodi di futuro e chiamato backcasting. Si è trattato un ulteriore capovolgimento temporale, logico, mentale, in cui si sono srotolate, dal 2040 ad oggi, le tappe necessarie a vincere la sfida, indietreggiando di cinque anni in cinque anni ed identificando, nell’ultimo passaggio, gli step da porre in essere oggi per raggiungere il 2040 desiderato. L’esercizio non è stato facile, si trattava di indietreggiare coerentemente con i vincoli, immodificabili, stabiliti in un certo anno, bisognava identificare azioni concrete e tempi di realizzo adeguati ai 5 anni che ci separavano dal passaggio precedente; inoltre era necessario pensare e mantenere una visione ampia del processo di trasformazione considerando sia l’ambito sociale, che tecnologico, che economico e politico e collocando in ciascuno di essi i necessari interventi. I gruppi hanno lavorato con molta attenzione cercando di essere quanto più concreti possibile rispetto agli obiettivi propedeutici ai traguardi del quinquennio successivo. Di cinque anni in cinque anni sono arrivati a tracciare le azioni che possono avviare il processo di trasformazione, assumendo la coscienza di essere in grado di partecipare sia alla progettazione del proprio futuro che alla sua realizzazione. Conclusioni Le passeggiate sottosopra sono state solo una piccola sperimentazione. Al di là delle valutazioni positive raccolte tra i partecipanti, sono state l’occasione per identificare vantaggi e criticità di questo approccio.
Confermato che il lavorare assieme, ritrovarsi a discutere e condividere una progettualità comune, fa emergere capacità e abilità, molto spesso sconosciute alla comunità stessa che si sommano e amplificano, i vantaggi sono essenzialmente collegati alla relativa semplicità del metodo. Questa consente al gruppo di identificare le proprie capacità di elaborare un processo di cambiamento cogliendo l’elemento della complessità che sottende a ogni singolo passaggio. La criticità risiede nei medesimi elementi; preso atto delle proprie abilità queste vanno sostenute e gestite con continuità e richiedono tempo e risorse per consentire al gruppo di raggiungere un’autonomia costruttiva rispetto agli obiettivi che si pone. Gli strumenti possono essere diversi e disporre di più strumenti e metodi di lavoro è certamente utile nella misura in cui stimola e sostiene il senso che la comunità ha di se e del proprio potenziale ma è necessario rammentare ed affermare, costantemente, la centralità delle persone, dei loro desideri e aspirazioni, organizzare spazi in cui questi trovino espressione e sostenere con continuità i gruppi in un processo che non è né breve né facile. Rinunciare a questo lavoro è sprecare un mondo di risorse, a svantaggio di questi luoghi, detti periferici, ma anche di quelli che sono i loro centri.
0 Commenti
|
Carmen CandidoConsulente progetti europei collegati alla cooperazione territoriale, all'ambito formativo e alle imprese, con un interesse verso tematiche di carattere sociale. |