a cura di Lucia Lorenzi “un essere vivente non si riduce… alla sua sola struttura visibile, ma rappresenta un anello della rete segreta che unisce tutte le cose di questo mondo (F,Jacob) IntroduzioneIl tema che intendiamo trattare, riguarda un campo di indagine molto ampio. Qui cercheremo di delineare i contorni della questione detta psicosomatica , tenendo conto del fatto che a tutt’oggi ci sono parecchie discordanze di impostazione e di definizione di questo ambito. D’altra parte il termine stesso psicosomatica, mentre da un lato sembra riassumere una visione unificatrice, dall’altro perpetua un orientamento dicotomico che prosegue dai suoi albori ad oggi. Cosa intendiamo per psicosomatica? All’interno delle varie scuole scientifiche, vi sono diversi orientamenti e in senso lato si può intendere qualsiasi relazione che lega i fatti psichici alle manifestazioni corporee. Come abbiamo visto la parola ci riporta alla possibilità di un rapporto tra psiche e soma, cioè tra mente e corpo, ma sappiamo che tali aspetti nel pensiero occidentale, da un certo momento in poi risultano antitetici e inconciliabili. Ne deriva che valutare la persona nella sua espressione unitaria risulta molto complesso sul piano dei riferimenti teorici che di fatto oscillano tra un’ipervalutazione del piano psichico e un’ipervalutazione del piano somatico. I termini psiche e soma che a partire dal v secolo, significheranno per il greco e poi per tutto l’occidente anima e corpo, sono già presenti in Omero, ma con un significato completamente diverso da quello che le assegnerà la filosofia di Platone. Omero con la parola Soma indica solamente il corpo esanime, il cadavere, non il corpo vivente. Le parti del corpo senza la funzione che gli è connaturata, sono semplici oggetti. L’anima è l’orecchio che sente, l’occhio che vede, il cuore che batte. La parola psiche compare solo come elemento che fuoriesce dal corpo cadavere come ultimo respiro. Senza il corpo l’anima è solo ombra, senza autonomia dall’elemento corporeo. Ho scelto questa immagine descritta da Galimberti in “Gli equivoci dell’anima”, per evidenziare una questione di fondo nel dibattito sulla questione psicosomatica: cosa intendiamo per psiche e soma? Quali sono i nostri parametri di riferimento? Visione meccanicistica o visione vitalistica ? E cosa cambia nella nostra visione se consideriamo uno o l’altro aspetto come riferimento per la nostra indagine? Lasciamo aperta questa domanda, mantenedo la consapevolezza che dietro ogni modalità di ricerca stanno dei parametri culturali precisi che non possono essere sottovalutati. La confusione che spesso ci accade di pecepire nell’ambito della visione psicosomatica, risente di questa sostanziale ambiguità. Psiche è una parola che deriva dal greco e significa etimologicamente “soffio” che anima e vivifica un corpo. Aristotele parla di psiche come identica a Bios, cioè alla vita. I latini tradussero il termine in anima, mantenendo il dualismo platonico di anima e corpo che Cartesio riformulerà con i termini res cogitans e res extensa. Dove la distinzione è tra mentale e fisico. Con la nascita della psicologia scientifica, il termine anima fu abbandonato, perché gravido di implicazioni filosofiche, metafisiche e morali. Venne adottato il termine psiche più tecnico e più neutro. A questo punto il suo significato viene affidato ai vari sistemi di pensiero che lo determinano in base al loro impianto teorico. Il tentativo di superare la visione dicotomica tra psiche e soma trova alcuni interessanti presupposti nel concetto di immagine corporea e nella distinzione tra corpo e organismo. Parlando di immagine del corpo, intendiamo il quadro mentale che ci facciamo del nostro corpo, vale a dire il modo in cui il nostro corpo appare a noi stessi, in cui vi è l’esperienza immediata dell’esistenza di un’unità corporea. Parlando di immagine corporea intendiamo qualcosa di più di una sensazione o di un’immagine mentale: si tratta del fatto che il corpo assume un certo aspetto anche rispetto a se stesso.Questo implica che l’immagine non è solo percezione, pur giungendo attraverso i sensi, ma comporta schemi e rappresentazioni mentali pur non essendo solo una rappresentazione. La distinzione fenomenologia tra corpo e organismo, sottolinea la differenza tra corpo oggettivato dalla scienza che si offre all’indagine anatomica e fisiologica e il proprio corpo come è concretamente vissuto e sperimentato nell’esistenza e a cui solamente si riconosce rilevanza psichica. Vediamo brevemente come si giunge a tale dissociazione psicosomatica. I criteri filosofici alla base della medicina occidentale antica, si possono riassumere in questi termini: l’uomo è un microcosmo che analogicamente ripete e riflette i ritmi e le leggi del macrocosmo. Ogni manifestazione vitale, viene dunque riferita all’economia globale del tutto. Già la medicina Pitagorica, considerava inscindibile lo studio dell’uomo dalle relazioni con l’universo. La medicina trovava la sua realizzazione nella costante ricerca delle analogie che legavano le varie parti dell’universo fra loro e in particolare all’uomo. Il fine era la ricerca costante in tutte le parti dell’universo, dal regno minerale a quello vegetale e animale, di quell’ordine universale che come una legge unica e fondamentale, informava di sé tutte le cose. All’interno di tale concezione unitaria gli aspetti psichici e somatici vengono costantemente correlati tra loro attraverso la procedura del pensiero analogico che crea un collegamento sotterraneo tra i fenomeni presenti nell’universo. La diagnostica seguiva in parallelo questa visione per cui la malattia di un organo veniva sempre ricondotta ad un’alterazione dell’energetica che la collegava a tutto l’organismo. La terapeutica d’altra parte più che la soppressione diretta del sintomo, cercava di ricostituire attraverso vari presidi, la perduta armonia. Questa visione arriva intatta fino al periodo presocratico e la si può ritrovare ancora in Platone e Aristotele. La filosofia greca e la religione giudaico cristiana operano una disgiunzione separando il mondo del cielo, sede di ogni valore spirituale, dal mondo della terra, vissuta come limite e caduta. Questa separazione tra corpo corrotto e un’anima da salvare in esso imprigionata, perdura fino al periodo rinascimentale, anche se in alcuni pensatori come Pico della Mirandola o Campanella resta ancora traccia di una visione unitaria. Con Cartesio il dualismo mente corpo subisce un’accentuazione e una codificazione definitiva. Separando la realtà nei due regni isolati dello spirito res cogitans e della materia, res extensa, egli pone le premesse per la fondazione rigorosa delle scienze naturali. Il tramonto definitivo del pensiero analogico avviene dunque con l’affermarsi del metodo sperimentale e mentre in altre culture permane l’aspetto tradizionale accanto a quello moderno, nella nostra cultura si produce una rimozione profonda delle conoscenze e dei metodi di questa antica saggezza che viene relegata a ruolo di ciarlataneria. Sappiamo che l’assunto fondamentale del metodo sperimentale, consiste nella necessità di verificare ogni ipotesi teorica attraverso l’esperimento, presupponendo che il fenomeno indagato sia ripetibile e riproducibile nelle medesime condizioni e con gli stessi risultati. Ritroviamo tale impostazione metodologica praticamente inalterata nelle linee fondamentali all’interno dell’attuale ricerca in ambito scientifico, che in un certo senso pone le premesse per l’esclusione della psicologia da tali scienze. Infatti, mentre nelle scienze naturali ciascun dato è privo di significato finchè non è posto in connessione con altri dati, secondo uno schema o un’ipotesi concettuale, in psicologia ogni dato, sia esso una percezione, un pensiero, un’emozione, ha di per sé il suo significato per colui che percepisce, pensa o sente. Quindi destituire il fatto psicologico dal suo significato, è distruggere il fatto psicologico. La coscienza umana è essenzialmente intenzionale. Se lo psicologo, nel tentativo di emulare la scienza, spoglia la coscienza dall’intenzionalità, che le è costitutiva, perde il suo oggetto, per cui, per essere veramente empirico, lo psicologo deve preservare la trascendenza, in altre parole, il significato dei processi consci, per chi li realizza. La visione dell’uomo all’interno della filosofia occidentale, oscilla dunque da una concezione monistica che integra l’unità del corpo e dello spirito a una dualistica che scompone tale unità in psiche e soma. Tale visione portò a indagare inizialmente le lesioni anatomiche del cervello responsabili delle diverse turbe psicopatologiche e a identificare le patologie mentali di origine organica, aprendo la strada a una iniziale chiarificazione nosografica delle malattie mentali. I derivati attuali della psichiatria organicistica si possono ritrovare nelle correnti neurofisiologiche impegnate negli studi correlativi fra struttura del sistema nervoso centrale e fenomeni psicologici dello stesso e inoltre nella corrente biochimica, genetica e farmacologica, che a vario titolo portarono contributi rilevanti sul piano conoscitivo riguardante le caratteristiche della mente umana. Da questi studi vennero esclusi una serie di disturbi che coinvolgevano le componenti più elevate della personalità e che furono relegati nell’ambito dei processi funzionali, la cui terapia era aperta a soluzioni mistiche o religiose, ma non scientifiche. Così tra la fine dell’800 e i primi del 900 con la rivoluzionaria scoperta dei processi inconsci da parte di Sigmund Freud iniziò la ricerca e lo studio dei processi psichici. La grande scoperta Freudiana consisteva nel riconoscere che il mondo psichico dell’uomo non è delimitato solo dai ristretti ambiti della ragione e della volontà cosciente dell’io, ma si erge su tutto un patrimonio oscuro, rimosso, primitivo, di desideri e di idee, dotati di autonomia energetica e caratterizzanti il mondo dell’inconscio. -Questa presa di coscienza fu rafforzata dalla 1° guerra mondiale con gli shock post-traumatici dei soldati che tornavano dal fronte. -Successivamente il decennio degli anni trenta mise in evidenza i traumi sociali della grande depressione e l’inizio della seconda guerra mondiale e questo portò ad ulteriori ricerche sul rapporto mente corpo. Quindi a partire dai concetti di psicogenesi e dallo studio delle cosiddette malattie psicosomatiche l’interesse si è spostato sui numerosi campi di applicazione teorico pratica della medicina psicosomatica. Osservando il panorama che oggi si presenta a chi si avvicina all’approccio psicosomatico, sembra che ci siano tante psicosomatiche, o che tutto sia psicosomatico e quindi c’è rischio di confusione. Per la SIMP , società italiana di medicina psicosomatica, le interferenze dello psichico sul somatico sono tali e tante da influire significativamente su tutti i livelli dell’arte medica che vanno dalla prevenzione alla terapia, alla riabilitazione. La visione psicosomatica permea le varie discipline e riguarda particolarmente la formazione nel campo delle scienze del comportamento umano, psicologia, psichiatria, psicoterapia. Vediamo allora alcune definizioni riguardanti la specificità psicosomatica. Indirizzi e costrutti teoriciPrenderemo ora in considerazione alcuni dei principali modelli che hanno proposto nel tempo modi di descrivere, interpretare, comprendere, le cause e la dinamica del fenomeno psicosomatico(etiopatogenesi) La psicanalisi ha svolto un ruolo molto importante agli albori della medicina psicosomatica tra gli anni 30 e gli anni 60. Freud introduce la nozione di inconscio nella scienza medica e pur non avendo mai usato il termine psicosomatica, era convinto che la salute del corpo potesse essere influenzata dagli stati mentali. Egli distingue nel sintomo un aspetto psicologico che considera suo campo d’indagine e uno organico che non affronta. Secondo la sua opinione gli effetti depressivi potevano procurare disturbi corporei in soggetti predisposti, mentre sentimenti di gioia potevano avere sul corpo un effetto rivitalizzante. Quando Freud scoprì il significato psichico inconscio di alcuni processi corporei, la medicina generale e i suoi stessi discepoli imprigionarono la sua scoperta all’interno del concetto di PSICOGENESI. In altre parole se ne dedusse che alcune malattie, o perlomeno alcuni fenomeni nell’evoluzione e nella sintomatologia di queste malattie, sono l’effetto di una causa psichica. Questo modo di pensare in termini di meccanismi, utile nello sviluppo della fisiopatologia, dà così origine a una psicopatologia la quale fu chiamata dinamica, per differenziarla da quella descrittiva usata nella psichiatria classica. Si cominciò allora a parlare di Psicogenesi (Charcot) cioè dell’importanza dei fattori psichici nell’eziologia delle malattie e questo diede luogo alla convinzione che esistono malattie psicosomatiche. Lo scopo iniziale del movimento psicosomatico era quello di umanizzare la medicina richiamando l’attenzione sulla connessione tra fattori emotivi e processi corporei in tutti i disturbi. English e Weiss un internista e uno psichiatra, autori del primo manuale di medicina psicosomatica cercano di fondere le diverse esperienze in una sintesi esemplificativa. Il concetto di base su cui si fonda la loro opera riguarda il “quanto dell’uno e quanto dell’altro”, cioè quanta responsabilità sia da attribuire per la patogenesi del disturbo alla quota emotiva e quanto alla quota organica. Il concetto psicosomatico poteva essere riassunto nel seguente modo: -“ Quando esistono disturbi senza base organica o quando una lesione anatomica non spiega tutta la sintomatologia, bisognerà interpretare questi disturbi dal punto di vista emotivo”. Il concetto di medicina psicosomatica, fu annunciato da F. Alexander (1946) e da altri suoi contemporanei, che ad un certo numero di malattie attribuirono cause emotive piuttosto che fisiche, nonostante le loro manifestazioni fossero fisiche. F. Alexander psicosomatista di impostazione analitica, fa osservare l’influenza dei conflitti psicologici sul sistema vegetativo. Egli parla di specificità del conflitto e mette in relazione la malattia con l’emozione che la determina. Come il riso è la risposta alla gioia e il pianto al dolore, così l’ipertensione è la risposta alla collera e alla paura, l’ipersecrezione gastrica all’emergenza, o l’asma all’impulso inconscio e represso di chiedere l’aiuto della madre. Con Alexander nasce lo studio del linguaggio simbolico degli organi e dei fattori psicologici implicati nei processi organici. Negli anni 30-40° si concentrò la ricerca su 7 malattie di eziologia incerta a cui venne attribuita una predominante causa psicologica. Queste malattie erano: -ulcera peptica -asma bronchiale -ipertensione -colite ulcerosa -artrite reumatoide -neurodermatite – -tireotossicosi Nello stesso periodo la Dunbar (1947) parlerà di Specificità personologica postulando l’esistenza di un caratteristico profilo di personalità che caratterizza le diverse sindromi psicosomatiche. Un altro autore ritenuto per altri versi il fondatore della medicina psicosomatica fu Grodrek il quale attribuendo significato simbolico a tutti i tipi di sintomi vegetativi, determina successivamente una linea indipendente di teorizzazione dei meccanismi psicosomatici. Egli fu il creatore del termine Es che Freud indicò come l’elemento istintuale dell’apparato psichico. L’inconscio non conosce la separazione tra corpo e anima o psiche e a seconda dei suoi scopi si serve ora dell’uno e ora dell’altro, salvando l’uomo attraverso la malattia che diviene così un segnale per ritrovare il proprio profondo equilibrio. In questa accezione tutte le malattie appartengono alla sfera psicosomatica . Gli antecedenti delle acquisizioni che connettono gli eventi psichici agli eventi fisici li ritroviamo nel contributo di Walter Cannon (1932) il quale formulò la teoria dell’omeostasi, secondo la quale l’organismo vivente è impegnato incessantemente nel mantenere costanti le condizioni del suo ambiente interno: l’omeostasi è quindi è al tempo stesso un mezzo e un fine per la sopravvivenza degli individui. In questo processo di continuo adattamento l’organismo interviene sull’ambiente e reagisce ad esso per mantenere l’equilibrio. Chiamò “reazione d’allarme” una risposta automatica che viene attivata in situazioni particolari e indispensabile nel predisporre l’organismo a comportamenti di attacco e fuga. Sempre intorno agli anni 30 H. Seyle diede inizio al lavoro pionieristico sullo STRESS mostrando che le reazioni di tipo attacco-fuga proprie del sistema nervoso simpatico e tipiche delle situazioni avvertite come pericolo, possono essere debilitanti se ripetutamente provocate da atteggiamenti emotivi abituali e da reazioni di stress cronico. Nel periodo successivo alla 2° guerra mondiale la ricerca sulla relazione mente-corpo cominciò a identificare specifici tratti della personalità correlati ad una certa suscettibilità a determinate malattie. Uno degli studi più importanti, fu quello del dott. Friedman e del dott. Roseman . Essi coniarono il termine di comportamento di tipo A per l’atteggiamento impaziente-ostile che sembrava connesso ad un maggior rischio di malattia cardiaca, rispetto al più tranquillo tipo B. A questo si aggiunge una personalità di tipo C individuata dalla psicologa dott. Temoshok, caratterizzata da rabbia repressa, senso di irreparabilità e depressione, che sembrano correlarsi ad una maggior predisposizione al cancro. Sul piano della ricerca intorno agli anni 60-70, vi fu un declino della metodologia psicanalitica applicata ai disturbi fisici e si aprirono orientamenti di tipo fisiologico e biologico improntati alla ricerca psicofisiologica, che evidenzia le correlazioni tra evento fisiologico ed evento psicologico. Nell’ambito degli studi psicoanalitici infatti, vari autori statunitensi iniziarono a mettere in discussione la questione della cosiddetta specificità psicosomatica, cioè la corrispondenza di tratti tipici della personalità in termini di specifiche strutture di personalità e di specifiche strutture difensive con specifici disturbi funzionali. In altre parole, viene criticata l’ipotesi di una struttura psicosomatica della personalità, differenziabile dalle nevrosi e dalle psicosi; la fluidità dei quadri clinici e della loro evoluzione in quadri patologici psiconevrotici e psicosociali o in affezioni organiche e anche in altre sindromi psicosomatiche portò ad abbandonare definitivamente il tentativo di costruire quadri diagnostici strutturali di un’ipotetica personalità psicosomatica e a ricondurre la ricerca clinica all’obbiettivo di formulare ipotesi specifiche sulle modalità relazionali e adattive che caratterizzano determinati pazienti, dove le emozioni vengono considerate variabili concomitanti in un gioco complesso di fattori biologici, psicologici e sociali e non come cause del disturbo. Per il Modello famigliare sistemico,(Meisner e Munchin 1966) che si occupa in particolare del disturbo anoressico, il paziente psicosomatico avrebbe un’immaturità proporzionale al suo grado di coinvolgimento emotivo nelle interazioni famigliari e una instabilità emozionale condizionata dal grado di instabilità del sistema famigliare. Perciò una disorganizzazione nel gruppo famigliare, rompe l’equilibrio del paziente e produce in lui uno scompenso somatico. Questo disturbo rischia di essere cronicizzato per essere utilizzato come comunicazione all’interno della famiglia. Per il Pensiero operatorio (Marty 1971), il paziente psicosomatico è incapace di elaborare i conflitti a livello mentale, è privo di vita fantasmatica, carente di sogni, incapace di stabilire un transfert. Ha un pensiero pragmatico completamente direzionato al presente e alla realtà concreta senza rapporti con fantasie inconsce. E’ un lucido spettatore della propria vita che tenderà a scaricare i conflitti direttamente sul piano somatico portando alla formazione del sintomo. Per il Modello psicosociale (Levi 1972) che si riallaccia alle ricerche di Cannon e Seyle, gli stimoli psicosociali incidono sul programma psicobiologico dell’individuo (cioè il suo patrimonio genetico e di esperienze infantili) e possono provocare dei “precursori di malattia”, che alla lunga possono portare alla malattia somatica, attraverso una serie di variabili ineragenti, che sono le varie alterazioni specifiche a carico di organi e funzioni, conseguenti alla aspecificità dello stress. Tale visione psicosomatica esce dalla prospettiva della reazione individuale alle emozioni e colloca gli individui nella loro specifica realtà sociale e ambientale, facendo emergere interessanti relazioni tra malattia e solitudine intesa come assenza di rapporti interpersonali e di legami di attaccamento. Pancheri (1980), nel suo “Stress, emozioni, malattia” definisce lo stress come “la risposta dell’organismo ad ogni richiesta di modificazione effettuata su di essa”. La risposta si manifesta a livello fisiologico e comportamentale ed è mediata da un’attivazione emozionale indotta da una valutazione cognitiva del significato dello stimolo. Egli tenta una sintesi tra i vari modelli sostenendo che ogni stimolo sociale o individuale produce modificazioni psicologiche e biologiche determinate dal programma psicobiologico dell’individuo con esito in patologia mentale o somatica. Negli anni 80 la medicina comincia a prendere seriamente il legame tra mente e corpo e la ricerca comincia a tracciare alcuni dei meccanismi biochimici coinvolti. Tra il 1970 e il 1990 molti studi hanno chiarito che sensibile alle reazioni emozionali, non è solo il Sistema Nervoso Vegetativo, come postulato da F. Alexander, ma anche il Sistema Endocrino e il sistema Immunitario. Praticamente tutti gli ormoni rispondono a sollecitazioni emozionali. La psiconeuroendocrinologia ha ampliato le conoscenze sviluppate da Seyle negli anni 40 con gli studi sullo stress e successivamente nasce la psiconeuroimmunologia che studia le connessioni tra cervello e sistema immunitario. La psiconeuroimmunologia coniata da R. Adler nel 1981, si riferisce alla capacità della mente che agisce attraverso il sistema nervoso, di alterare la fisiologia del sistema immunitario dell’uomo, responsabile a sua volta della resistenza alle malattie. Tale ricerca sul significato della relazione mente corpo considera la mente come una componente che agisce attraverso il cervello e le altre parti del corpo influenzandone il funzionamento e risultandone influenzata. Lo psichico ed il somatico cominciano a configurarsi non più come due realtà a cui attribuire uno statuto distinto, ma come due registri epistemologici, due prospettive che possono essere lette in una visione contemporanea anche se vanno compresi nei loro diversi linguaggi. Secondo il modello energetico del continuum corpo-mente dell’eco-biopsicologia, (Frigoli 1987) un disturbo organico, oltre che esprimersi nel linguaggio specifico del corpo, fatto di dolore, tensione, bruciore, si può esprimere nella parola che descrive i disturbi. Il malato psicosomatico presenterà un’accentuazione dei disturbi corporei che sottraggono energia alla psiche e dunque alla possibilità di scarica dell’organo attraverso la parola. Questo spiega l’Alexitimia, che è propria delle malattie psicosomatiche, che letteralmente significa mancanza di parole per descrivere le emozioni. Più in generale, la persona a rischio di ammalarsi di gravi malattie come i tumori, ha una struttura di personalità dominata da meccanismi di rimozione. Si tratta di soggetti che nascondono inconsapevolmente ogni loro emozione, che non lasciano trasparire nulla del loro mondo interno, sovraccaricando il corpo e i suoi organi. Si creano i presupposti per una fisiologia psicosomatica simbolica. Come il corpo è il luogo del linguaggio della psiche, così’ la psiche è l’autentica voce del buio profondo degli organi. Per Chiozza la fantasia specifica non è il risultato delle proiezioni psicologiche sull’organo o sul corpo, ma è inerente alla materia stessa dell’organo o dell’apparato. Quest’ultimo da un lato possiede una propria funzione organica e dall’altro specifiche fantasie che sono in relazione con l’organo che le produce. In altre parole viene postulata un’intelligenza della materia. Nel corso degli anni 90 il focus della ricerca si sposta dalla causa al decorso clinico. Ci si chiede se i fattori psicosociali possono condizionare il decorso clinico della malattia. Inoltre ci si interroga sugli effetti dello stress psicosociale ovvero sulle ripercussioni che a partire dalla specificità della malattia somatica, possono colpire funzioni psicologiche quali l’autostima, il senso di controllo della propria vita e così via. L’acquisita certezza della polifattorialità del fenomeno psicosomatico, oggi definito biopsicosociale, ha annullato le precedenti definizioni di modello psicologico, psicobiologico o sociale. La drammatica diffusione del cancro ha portato ad approfondire il tema dell’ impatto della malattia e della sua cura, sulla qualità di vita e sulla salute psicologica dei pazienti tanto da richiedere l’intervento psicologico da parte sia del paziente che del medico. Questo ha portato allo sviluppo della psiconcologia che si occupa dei diversi temi psicologici, sociali, comportamentali e psichiatrici relativi alla prevenzione, alle conseguenze della malattia , al trattamento e alla sopravvivenza dei pazienti oncologici. e ha moltiplicato l’interesse per la ricerca riguardante il distress psicologico, le strategie di coping, i rapporti sociali. Cerchiamo ora di riassumere le principali definizioni del pensiero a impostazione psicosomatica. Definizioni
Cenni di nosografia psicosomatica
Il misterioso salto dalla mente al corpo Come abbiamo visto, alla fine degli anni 70, le acquisizioni del rapporto tra emozioni e malattia nel corpo erano fondate sul concetto di stress e sulle sue conseguenze nell’organismo. Gli studi sullo stress, iniziati da Selye e proseguiti da altri ricercatori, rappresentano i pilastri della concezione da cui si è sviluppata la medicina psicosomatica in tutta la seconda metà del 900. Cerchiamo di puntualizzare i vari passaggi che hanno portato a queste acquisizioni:
Prendiamo ora in considerazione le spiegazioni riguardanti la scelta dell’organo colpito.
Naturalmente restano aperte molte domande: La ricerca sullo stress, da Cannon a Mason, è partita bene, ma si è intrappolata all’interno dello stesso paradigma mente corpo da cui ha cercato di staccarsi . Infatti i determinanti emozionali e psicosociali e la reazione di stress da essi dipendente, sono delle concause nella genesi della malattia. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, non è dimostrato un rapporto specifico tra tipo di attivazione emozionale e tipo di malattia somatica sviluppata, anche quando il ruolo determinante dello stress emozionale è stato accertato. Le differenze nel tipo di malattie sviluppate per cause emozionali, dipendono dalla particolare vulnerabilità dei singoli organi, a sua volta dipendente da fattori puramente fisico-biologici o genetico-costituzionali. ConclusioniL’idea che le emozioni possano avere una qualche valenza in termini etiologici appare lontana o addirittura un po’ retrò.
Il vissuto e l’emozione sono prese in considerazione come “predisposizione” alla malattia,”conseguenza”, o in termini di reazione e adattamento alla malattia. Come si spiega allora la scelta dell’organo? E come mai in alcuni soggetti lo stress determina la crisi d’asma e in altri una dermatite? Oppure perché certi soggetti chiaramente stressati non si ammalano? E perché alcuni sviluppano un tumore pur conducendo una vita tranquilla? E come mai molte persone non si ammalano durante la fase di stress ma subito dopo? A queste domande la psicosomatica non da risposte sostanziali o univoche. In compenso nelle realtà più avanzate, stanno fiorendo equipe multidisciplinari che danno l’illusione di cogliere il soggetto nella sua globalità, ma in realtà lo parcellizzano in tante parti specialistiche e spesso di difficile coniugazione. D’altra parte è altrettanto riduttivo considerare le emozioni solo in quanto vissuto di malattia, o in termini di reazione e adattamento alla malattia. La cura dell’aspetto emotivo dell’ammalato, delle sue reazioni e delle strategie di coping attuale, è sicuramente molto importante per una psicologia della salute oltre che della malattia. Tuttavia questo non va confuso con una visione olistica che tenga conto della inscindibilità negli esseri umani della componente biologica da quella emozionale. Non basta riconoscere il fattore psicologico nel cancro o nell’asma. Questa visione riduzionistica toglie in realtà alla psicologia e alla psicosomatica per derivazione, il suo mandato specifico, che è quello di poter cogliere nel linguaggio della materia vivente che si esprime attraverso il sintomo, il senso del processo in atto.
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Lucia LorenziPsicologa clinica, psicoterapeuta a orientamento psicosomatico e conduttrice di laboratori di crescita personale (Laboratorio biografico e Laboratorio sull'arte della decodifica del sogno). |